capitolo primo
“Vieni qui, ho un castello”
Rivara 1984
Aldo Mondino si trasferisce a Rivara. L’invito a raggiungerlo è dell’amico Franz Paludetto.
Gli stati emotivi dei due (tra macerie nobiliari, sale ammuffite e soffitti bucati) sono altalenanti: eccitanti deliri di onnipotenza (divina) e lasciva impotenza (umana) di fronte a tanto degrado e abbandono.
Qualche giorno di residenza -‐ più, o meno forzata -‐ sui cocci dello sfarzoso Castello neobarocco e il cantiere si mette in moto. A cominciare non sono i lavori di ristrutturazione
ma le mostre. Il tetto e la muffa possono aspettare.
Come sia andata veramente, non è scritto da nessuna parte e la storia, si sa, può cambiare protagonisti e scenografie secondo il testimone. È più semplice leggere il corso degli eventi nelle opere sparse in ogni dove,
sui muri (dentro e fuori) e nella tappezzeria in bianco e nero della sala “privata -‐ non entrare”: un migliaio di
fotografie
nelle
quali
i fantasmi
che
hanno abitato
il Castello
acquistano sembianze reali.
Collezionisti, galleristi,
artisti
tanti, tantissimi, amici
sempre
e nemici pure. Gina
Pane, Luigi Ontani, Gianni Milano, Alighiero e Boetti, Joseph Beyus, Herman Nitsch, Felix Gonzales-‐Torres, Paul Mc Carthy, Maurizio Cattelan e tanti altri compongono il quadro di ricordi di un luogo eretto a monumento storico e culturale.
capitolo secondo
“Come promesso, eccoti l’invito a raggiungermi al Castello. La tua stanza è pronta e sarai ospite di Franz per il week end”
Rivara, settembre 2012
Otto artisti sono invitati
al Castello. Elisa Barrera, Riccardo
Beretta,
Nicolò Degiorgis, Pasquale
Di Donato, Derek Maria Francesco Di Fabio, Jacopo Mazzonelli, Cristiano Tassinari, Matteo Vinti.
A ciascuno di loro è assegnata una stanza, nell’ala neogotica, all’interno degli unici spazi mai aperti al pubblico: le stanze private di Franz Paludetto
che ospitavano amici e artisti.
Un giorno di convivenza, una cena e una notte da spendere nelle rispettive camere distribuite sui tre piani dell’edificio dove, prima dei nuovi ospiti, hanno dormito, amato, sognato, progettato i loro padri. Lo schiaffo del passato può essere più o meno forte.
Come andrà, quella notte, non può essere previsto. La decadenza può scivolare in degrado se confrontata al futuro o trasformarsi nel piacere romantico della memoria. In mezzo, tutta una gamma di sfumature secondo le interpretazioni che ne daranno i nove protagonisti. La testimonianza di un’esperienza è un dato soggettivo.
Il corso degli eventi si svilupperà in una notte.
Il resto è ancora tutto da inventare nelle opere che troveranno il loro posto (discrete, invadenti, silenziose, aggressive, sonore, psichedeliche, poetiche, ironiche, esistenziali, sociali) tra i fantasmi del passato che restano a guardare i nuovi arrivati.
capitolo terzo
“Ho il piacere di invitarla a trascorrere una notte al Castello di Rivara. Alloggerà in una delle nove stanze dell’Hotel progettate da altrettanti artisti che prima di lei hanno passato una notte al Castello. Sarà questa l’unica formula per visitare i lavori da loro realizzati”
Rivara, maggio 2013
Il soggiorno nelle camere dell’Hotel è riservato ma non limitato. Come nella più rispettabile formula di una certa aristocrazia piemontese (colta e alquanto riservata) occorre essere invitati.
L’esperienza individuale (o di coppia) dei nuovi ospiti trasforma il Castello nella sua versione più vitale, l’Hotel. Una macchina macina storie. Presenza dopo presenza, livello su livello.
Che cosa significhi dormire dentro a un’opera d’arte non è mai stato descritto. E non basterebbe
l’immedesimazione con i protagonisti
sapendo di poter essere gli autori della storia.
La memoria è un fatto privato, così come la creazione, difficile da condividere se non in sporadiche alchimie emotive. Più semplice viverla che ricostruirla.
Nel susseguirsi vitale di esperienze
(che sono andate
sommandosi
nelle singole camere) altri collezionisti, curatori, artisti, galleristi, amici tanti, tantissimi e nemici anche, sono invitati da un cartello “entrare – stanza privata”. Chiusa la porta, il rapporto tra pubblico e opera è così intimo da dimenticarsi
che altri occhi hanno vissuto, e vivranno, quella stessa esperienza. Eppure non sarà mai la stessa.
Roberta Pagani
*
Chapter One
“Come here, I have a castle”
Rivara 1984
Aldo Mondino moved to Rivara. The invitation to
come was sent by his friend Franz Paludetto.
The two men had mixed emotions (about the medieval
relic with its moldy walls and holes in the ceilings). They were delirious with
(divine) omnipotence and decadent with (human) impotence in the face of such a
state of abandon. After living there a few days – as if there were any other
place to sleep – in the ruins of the neo-Baroque castle, they set up a work
site, but renovation work was the last thing on their minds. They were going to
hold exhibitions; the roof and the mold could wait.
We will never really know how it happened because
no one wrote it down at the time, and a story changes depending on who is
telling it. It is much easier to read the course of events in the works of art
scattered throughout the castle, on the walls (indoors and outdoors) and in the
black and white wallpaper of the “private – do not enter” room: a thousand
photographs in which the ghosts who lived in the castle look like real people:
collectors, gallery owners, artists (many of them), lots of friends and even
enemies.
Gina Pane, Luigi Ontani, Gianni
Milano, Alighiero&Boetti, Joseph Beyus, Herman Nitsch, Felix Gonzales Torres,
Paul
Mc Carthy, Maurizio Cattelan and many
others make up the portrait of the memory of a place that has become a cultural
and historical monument.
Chapter Two
“As I promised, here
is your invitation to come visit the Castle. Your room is ready and you will be
Franz’s guest for the weekend.”
Rivara, September 2012
Eight artists were invited to the castle. Elisa Barrera, Riccardo
Beretta, Nicolò Degiorgis, Pasquale Di Donato,
Derek Maria Francesco Di Fabio, Jacopo
Mazzonelli, Cristiano Tassinari, and Matteo Vinti.
Each of them is assigned a room, in the neo-Gothic
wing, in the only spaces that were never opened to the public: the private
rooms of Franz Paludetto, who often invited friends and artists to spend time
at the castle.
A day of living together, a dinner and a night in
their respective rooms on one of the three floors of the building where -
before the new guests ever arrived - their fathers slept, loved, dreamed and
designed. The encounter with the past can be very strong.
The outcome of the that night cannot be predicted.
Decadence can slide even lower if compared with the future, or it could morph
into romantic love in memory of the past. Between those two extremes, a whole
range of different emotions could emerge, depending on the interpretation of the
eight protagonists. The story of an experience is subjective, and this story
will play itself out in only one night.
The rest is still to be invented in the works
(discreet, overbearing, silent, aggressive, loud, psychedelic, poetic, ironic,
existential, social) that will find their places amongst the ghosts from the
past that remain to watch the new arrivals.
Chapter Three
“I am very pleased to invite you to
spend a night at the Castle of Rivara. You
will stay in one of the Hotel’s nine rooms, each designed by one of nine
artists that spent the night here before you. This will be the only way that
you will get to admire the works they did for the Castle.”
Rivara, May 2013
Access to the Hotel rooms is reserved but not
limited. As in the more respectable traditions of a certain level of
Piedmontese aristocracy (very well read and just as reserved), one must be
invited.
The individual (or collective, for a couple)
experience transforms the castle into its most lively incarnation, the Hotel. A
story-creating machine. Person after person, level upon level.
What does it mean to sleep in a work of art that
has never been described? And would it be enough to pretend to become the
protagonists, knowing that you would become an author of the story?
Human memory is a private thing, just like creating
a work of art. Difficult to share, unless there are specific moments of
emotional compatibility. It’s easier to live it than to rebuild it.
In this sequence of experiences (that are
compounded for the single rooms) other collectors, curators, artists, gallery
owners, lots of friends and also enemies, were invited by a sign that said
“enter – private room”. After closing the door, the relationship between the
public and the work of art became so intimate that they forgot the other eyes
that saw it, and that will see it in the future. And somehow, it will still
never be the same.
Roberta Pagani